Cass. Civ., Sez. III, del 30.05.2024, n. 15216

Con la sentenza in esame, la Cassazione torna nuovamente a pronunciarsi in tema di validità della clausola “on claims made basis” inserita nel contratto di polizza assicurativa, ponendo particolare attenzione alle conseguenze della declaratoria di nullità della clausola contrattuale.

Per quanto qui di interesse, il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda di manleva avanzata dalla Struttura Sanitaria nei confronti della Compagnia Assicurativa, terza chiamata in causa, ritenendo operante la copertura assicurativa.

La Compagnia Assicurativa impugnava la sentenza invocando, tra l’altro, la mancanza di copertura assicurativa discendete dalla clausola claims made e rilevando che, sebbene il sinistro fosse avvenuto nel periodo di retroattività triennale, la richiesta di risarcimento del danno da parte del terzo danneggiato era intervenuta fuori dal periodo di validità della polizza.

La Corte d’Appello di Catania dichiarava l’invalidità della clausola claims made per carenza di causa in concreto. Secondo la Corte territoriale, sebbene la clausola prevedesse la copertura degli eventi di danno verificatisi nel triennio precedente alla stipula del contratto, ne escludeva un’ampia categoria, rendendo di fatto la copertura assicurativa “vuota”, ciò anche in considerazione del fatto che venivano esclusi dalla stessa i sinistri denunciati dopo la scadenza del contratto.

La Compagnia Assicurativa ricorreva per Cassazione denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1325, 1343, 1880 e 1917 c.c. per avere la Corte d’Appello accertato la carenza di causa in concreto della clausola claims made senza aver considerato l’effettivo assetto sinallagmatico e per aver sostituito la propria valutazione alla regolamentazione contrattuale sulla base di una considerazione di adeguatezza della garanzia avendo riguardo al momento della stima del sinistro e non al momento della stipula del contratto.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, intende dare continuità al principio enunciato dalle Sezioni Unite con la sent. n. 22437 del 2018, recepito e sviluppato dalla recente giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il modello di assicurazione della RCT con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917, co 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al contratto tipico di assicurazione contro i danni e, come tale, soggetto alla verifica di conformità del tipo, di cui all’art. 1322, comma 1 c.c., e non al controllo di meritevolezza, di cui al comma 2 dell’art 1322 c.c.. Per verificare la conformità delle suddette clausole va, dunque, valutato se le stesse siano state adottate secondo i limiti imposti dalla legge, intesa come ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale.

Già le Sezioni Unite avevano evidenziato come tale indagine riguardi, anzitutto, la causa concreta del contratto sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti, precisando che l’indagine deve essere condotta considerando tanto il momento della genesi del rapporto, investendo anche la fase precontrattuale, quanto quella dell’attuazione del rapporto.

Conseguentemente, la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati.

Secondo gli Ermellini, la Corte territoriale, sebbene sia partita da una corretta affermazione sul piano teorico, avrebbe tuttavia condotto l’esame sulla validità della clausola in modo non conforme a diritto.

In primo luogo, la Suprema Corte rileva come l’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello appaia più improntato ad un giudizio di meritevolezza che di conformità al tipo, non avendo il Giudice di merito valutato se, in concreto, il contratto presentasse uno squilibrio sinallagmatico in termini di assenza di corrispettività tra rischio assicurato e premio, unico elemento ritenuto sintomatico di carenza di causa in concreto e inadeguatezza del contratto rispetto agli interessi delle parti, secondo i parametri indicati dalle succitate Sezioni Unite.

In secondo luogo, la Corte territoriale non avrebbe preso in considerazione le conseguenze della declaratoria di nullità della clausola ritenuta priva di causa in concreto.

Infatti, la Suprema Corte ricorda che è principio consolidato quello secondo cui il Giudice, qualora dichiari la nullità di una clausola contrattuale ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c. deve indicare la norma imperativa con la quale sostituire la clausola nulla.

La Cassazione, richiamando la sent. n. 22437/2018, evidenzia che, nei settori in cui il legislatore è intervenuto per disciplinare le polizze claims made, il giudice dispone di un serbatoio di riferimento che risponde a “scelte precise del legislatore sui criteri di opportunità, efficienza e giustizia” nell’ambito della distribuzione del rischio.

In conclusione, accertata la carenza di causa in concreto della clausola claims made secondo gli stringenti parametri enunciati dalle Sezioni Unite del 2018 e, quindi, dichiarata la nullità della stessa ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c., il Giudice è tenuto ad individuare la norma sostitutiva della clausola nulla e, nel caso in cui non rinvenga la norma di riferimento che il capoverso dell’articolo 1419 c.c. esige, dovrà dedurne la nullità dell’intero contratto.

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