Cass. Civ., Sez. III, ord. del 12.06.2024, n. 16348

La Cassazione, con la pronuncia in epigrafe, è tornata a pronunciarsi sulla risarcibilità del danno da c.d. “lucida agonia”.

La vicenda trae origine da un sinistro stradale causato dal conducente della vettura in occasione del quale il soggetto trasportato perdeva la vita dopo tre giorni di coma.

Agivano in primo grado i parenti della vittima chiedendo il risarcimento di tutti i danni patiti, iure proprio e iure hereditatis, in conseguenza del decesso della congiunta.

Il Tribunale di Cassino, in parziale accoglimento della domanda attorea, accertata la responsabilità del convenuto nella causazione del sinistro, condannava il conducente e la Compagnia di assicurazioni, in solido tra loro, al pagamento, in favore dei genitori, rispettivamente dell’importo di € 10.804,5 e dell’importo di € 6.808,00, compensando le spese processuali.

Proponevano appello tutti gli originari attori, cioè i genitori e i tre fratelli della vittima, insistendo nella domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno biologico da morte e nella domanda di risarcimento del danno parentale, ritenuta implicitamente rinunciata dal giudice di primo grado.

La Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello con riferimento alle domande iure hereditatis e iure proprio, ritenendo di accogliere unicamente il motivo afferente all’errata compensazione delle spese di lite di primo grado.

Gli attori ricorrevano per Cassazione sostenendo, con riferimento alla domanda di risarcimento del danno iure hereditatis, la mancata applicazione dei principi enunciati dalla Cassazione con sent. 1361/2014 e, con riferimento alla domanda di risarcimento iure proprio, che nessuna rinuncia fosse intervenuta con riferimento alla domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale.

La Suprema Corte, con riferimento al primo motivo di ricorso, sottolinea come la Cass. 1361/2014, invocata dai ricorrenti, è stata superata dalle Sezioni Unite, le quali, con sent. n. 15350/2015, hanno chiarito che il bene vita in quanto tale è “bene autonomo fruibile solo in natura dal titolare”, pertanto, non trasmissibile agli eredi.

Sul punto gli Ermellini rilevano come nel caso di specie non potesse ritenersi sussistente la “lucida agonia” in considerazione del fatto che la vittima era entrata nello stato di coma profondo nel momento del sinistro e che il decesso era intervenuto non solo a breve distanza di tempo, ma senza soluzione di continuità.

Inoltre, sebbene lo stato di coma non escluda di per sé che il paziente possa avvertire lo stato di compromissione psicofisica e il disagio dell’imminente morte, come dedotto da parte ricorrente, tale percezione da parte della vittima non è stata provata in giudizio.

Secondo la Cassazione è da ritenersi infondato anche il secondo motivo di ricorso atteso che, sia in primo grado che in secondo grado, i Giudici avrebbero correttamente ritenuto rinunciata la domanda in ragione dell’intero comportamento assunto nel corso del giudizio da parte degli attori nonché in ragione del fatto che il danno da perdita del rapporto parentale risultava già risarcito da parte della Compagnia.

In conclusione, il Collegio ribadisce il principio in base al quale non è risarcibile iure hereditatis il danno da c.d. “lucida agonia” allorquando la vittima non abbia avuto effettiva percezione delle proprie condizioni e non risulti provato che, pur nello stato di coma profondo, il danneggiato abbia avvertito il disagio per la morte imminente.

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