Cass. Civ., Sez. III, ord. del 21.10.2024, n. 27142

La Cassazione torna a pronunciarsi in merito alla risarcibilità della lesione del vincolo parentale in caso di morte di un congiunto.

A fondamento della propria pretesa gli attori, rispettivamente moglie e figli del paziente, sostenevano che il decesso del proprio congiunto fosse riconducibile alla responsabilità medica dei sanitari operanti presso la struttura sanitaria convenuti, i quali avrebbero, da un lato, effettuato un’errata diagnosi e, dall’altro, avrebbero eseguito negligentemente gli interventi chirurgici. In particolare, secondo i parenti del paziente, i medici avrebbero omesso – durante il secondo dei quattro interventi eseguiti – l’applicazione di uno stent alle pareti intestinali che avrebbe impedito le complicazioni cardiache rivelatesi causa del decesso, avvenuto a distanza di tre mesi dalle dimissioni dall’ultimo intervento.

Il Tribunale di Torino, istruita la causa e disposta la CTU collegiale, riteneva non provato il nesso causale tra la condotta medica e il decesso del paziente. Secondo il giudice di prime cure, invece, la condotta dei medici, risultata censurabile sotto vari aspetti, aveva provocato soltanto una invalidità temporanea, riconosciuta agli attori iure hereditatis.

La statuizione veniva riformata dalla Corte d’Appello di Torino, secondo la quale, contrariamente a quanto accertato in primo grado, sulla base delle risultanze dell’elaborato peritale, era da ritenersi provato il nesso di causa tra gli errori commessi durante l’intervento chirurgico e la morte del paziente. Tuttavia, la Corte di merito riconobbe il risarcimento del danno parentale unicamente alla moglie convivente, ritenendo che i figli, pur convivendo con il de cuius, non avevano dimostrato le conseguenze dannose subita sotto il profilo dinamico-relazionale.

La sentenza veniva impugnata da due degli originari attori, i due figli del paziente, i quali formulavano tre motivi di gravame in relazione al mancato riconoscimento del danno parentale. Ricorreva per cassazione anche l’Azienda ospedaliera, la quale affidava il ricorso incidentale ad un unico motivo in relazione valutazione del nesso causale tra condotta ed evento.

Per quanto qui di interesse, la Suprema Corte ha ritenuto fondati i motivi di gravame dei ricorrenti principali, con cui denunciavano il mancato rilievo, da parte della Corte d’Appello di dati fattuali incontroversi ai fini del riconoscimento del danno parentale, nonché la violazione dei criteri indicati dalla giurisprudenza ai fini della valutazione del danno parentale.

La Corte di merito aveva motivato il rigetto della domanda di riconoscimento del danno morale jure proprio sull’assunto che gli originari attori, figli del deceduto, erano in un’età pienamente adulta e che, pertanto, non potesse ritenersi presumibile né la perdurante dipendenza economica né la convivenza con i genitori, atteso che nulla era stato allegato da parte degli attori in merito alla natura e all’intensità della relazione con il padre.

La Corte di Cassazione, anzitutto, richiama il principio di diritto, espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 26972 del 11/11/2008, secondo cui la natura onnicomprensiva del danno non patrimoniale deve essere interpretata nel senso di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica. Ne consegue che, ai fini risarcitori, il giudice di merito è tenuto a considerare tutte le conseguenze derivanti dall’evento di danno, senza esclusioni, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilità, procedendo ad un accertamento concreto e non astratto, dando ingresso a tutti i mezzi di prova normativamente previsti, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni. (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 25541 del 30/08/2022; Cass. Sez. 3 Sez. 3 – , Sentenza n. 901 del 17/01/2018; Cass. Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008)

Gli Ermellini, inoltre, ricordano che in tema risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale “sussiste una presunzione iuris tantum di esistenza del pregiudizio configurabile per i membri della famiglia nucleare “successiva” (coniuge e figli) che si estende anche ai membri della famiglia “originaria” (genitori e fratelli), senza che assuma ex se rilievo il fatto che la vittima ed il superstite non convivessero o che fossero distanti; tale presunzione impone al terzo danneggiante l’onere di dimostrare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, con conseguente insussistenza in concreto dell’aspetto interiore del danno risarcibile (c.d. sofferenza morale) derivante dalla perdita, ma non riguarda, invece, l’aspetto esteriore (c.d. danno dinamico-relazionale), sulla cui liquidazione incide la dimostrazione, da parte del danneggiato, dell’effettività, della consistenza e dell’intensità della relazione affettiva (desunta dalla coabitazione o da altre allegazioni fornite di prova)” (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5769 del 04/03/2024; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22397 del 15/07/2022; Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 26440 del 08/09/2022).

Ciò posto, la Suprema Corte sottolinea come il danno da perdita del rapporto parentale debba essere liquidato seguendo una tabella basata su un sistema a punti, al fine di garantire sia un’adeguata valutazione del caso concreto. Come osservato dalle note sentenze della Cassazione n. 26300/2021 e n. 26440/2022, il giudice, nella liquidazione del danno, ha la possibilità di applicare sull’importo finale, derivante dall’applicazione delle tabelle, dei correttivi in ragione della particolarità della situazione.

Fatte queste premesse, il supremo consesso ha ritenuto che la Corte d’Appello abbia errato nel non riconoscere il danno morale subito dai figli del defunto, anche in considerazione del fatto che tale danno non era stato messo in discussione dalla struttura sanitaria convenuta. Quanto poi alla componente del danno dinamico-relazione, secondo la Cassazione, la Corte di merito non avrebbe dimostrato di avere tenuto adeguatamente conto dei fatti allegati dagli originari attori, da cui era presuntivamente desumibile l’intensità della relazione dei figli con il padre all’interno della famiglia nucleare, in virtù della stretta relazione parentale tra i figli, giovani adulti con il medesimo ancora conviventi, e il padre, prematuramente scomparso.

La decisione della Corte territoriale è stata ritenuta del tutto contradittoria in quanto non correttamente correlata alle circostanze allegate dagli attori, avendo il giudice di merito confuso l’an debeatur con il quantum debeatur: ciò in quanto avrebbe assunto che lo sforzo di allegazione di parte attrice è stato del tutto insufficiente e fondato su allegazioni generiche per il solo fatto che non sarebbero presumibili né la perdurante dipendenza economica (circostanza che la Cassazione ritiene marginale in tale ambito di valutazione), né la convivenza che, invero, non appare neanche quale elemento essenziale ai fini del decidere.

Conclusivamente, la sentenza è stata cassata con rinvio e la Corte di Cassazione ha demandato alla Corte d’Appello, in diversa composizione, di valutare i presupposti per il riconoscimento del danno parentale alla luce dei criteri sopra indicati.

Cassazione_21_10_2024, n 27142