Cass. Civ., sez. III, ord. del 22.04.2024, n. 10765

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi nell’ambito di un procedimento instaurato dai congiunti della vittima, ha ricordato che le linee guida, relative all’attività medico-chirurgica, non hanno rilevanza normativa o “parascriminante”, non essendo né tassative, né vincolanti.

Nel caso affrontato, a seguito del decesso del proprio congiunto, avvenuto per arresto cardiocircolatorio per trombosi venosa profonda, gli attori convenivano in giudizio la struttura sanitaria ove il paziente era stato sottoposto ad intervento chirurgico di “tenorrafia” per la ricostruzione del tendine d’Achille destro e successivamente dimesso senza prescrizione di terapia anticoagulante postoperatoria.

La sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Roma, veniva riformata dalla Corte d’Appello di Roma, la quale, in accoglimento dell’appello proposto, condannava la struttura sanitaria al risarcimento dei danni.

I congiunti della vittima ricorrevano per Cassazione con un unico motivo di gravame avente ad oggetto l’omesso riconoscimento, a titolo di danno da ritardato adempimento, degli interessi o delle altre attribuzioni.

Resisteva la Clinica convenuta proponendo ricorso incidentale affidato a quattro motivi di gravame.

La Struttura Sanitaria censurava la sentenza della corte d’Appello per aver ritenuto sussistente il nesso di causa tra la condotta dei sanitari, i quali non avevano somministrato la terapia eparinica al paziente in occasione dell’intervento chirurgico e i danni lamentati dagli attori. Ciò sulla base del fatto che nella valutazione della condotta medica, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto delle linee guida vigenti ed in uso all’epoca dei fatti, secondo le quali non era prevista la prescrizione di eparina in un soggetto a basso rischio trombotico.

Con la pronuncia in commento, gli Ermellini hanno anzitutto ribadito il consolidato principio secondo cui, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di una nuova malattia e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza (tra le molte: Cass. civ. n. 26700/2018; Cass. civ. n. 27606/2019; Cass. civ. n. 28991/2019; Cass. civ. n. 26907/2020).

In secondo luogo, la Cassazione ha ricordato che le linee guida, pur rappresentando un parametro utile nell’accertamento dei profili di responsabilità medica, non hanno natura vincolante non avendo alcuna rilevanza di tipo normativo. Pertanto, non possano eliminare la discrezionalità del giudice nella valutazione delle circostanze del caso concreto. Nel caso di specie, dunque, in applicazione dei suddetti principi, la Corte territoriale avrebbe correttamente ritenuto che, in base al compendio probatorio, le condizioni del paziente e la tipologia di intervento cui lo stesso fu sottoposto esigevano una condotta diversa da quella indicata dalle linee guida.

In conclusione, nel rigettare il ricorso incidentale della struttura sanitaria, la Suprema Corte afferma che, nella valutazione della responsabilità medica, il Giudice deve valutare se le circostanze del caso concreto esigevano, in concreto, di una condotta diversa da quella prescritta nelle linee guida, atteso che le stesse non hanno rilevanza normativa o “parascriminante” e che la loro applicazione non è sufficiente ad escludere aprioristicamente il nesso causale tra la condotta medica e i danni arrecati al paziente.

Cass_10765_22_aprile_2024