Cass. Civ., Sez. III, ord. del 17.06.2024, n. 16737
La Cassazione, tornando a pronunciarsi in merito alla valenza probatoria delle attestazioni contenute nella cartella clinica, chiarisce la diversa rilevanza e il diverso metodo di confutabilità riservato ai dati in essa riportati rispetto alle attività non riportate ma asseritamente eseguite.
In primo grado, gli attori allegavano un comportamento gravemente negligente del personale medico per non aver sottoposto la paziente agli esami strumentali necessari e per aver, conseguentemente, eseguito tardivamente l’intervento di parto cesareo, causando la morta della bambina.
Veniva, altresì, convenuta la Struttura Sanitaria alla quale gli attori imputavano l’inadempimento dell’obbligo di custodia e cura della completezza della cartella clinica sulla base del fatto che dalla stessa non risultava il referto dell’ECG eseguito la sera precedente al parto, dal quale sarebbe emersa la gravità della situazione e l’urgenza di eseguire il parto cesareo, la cui esecuzione era stata accertata anche nel corso del procedimento penale ed allegata dagli attori nel procedimento civile.
All’esito della CTU medico legale svoltasi nel corso del procedimento, il Tribunale di primo grado accoglieva le domande attoree.
La Corte d’Appello, dopo aver rinnovato la CTU e sulla base delle risultanze della stessa, le quali, a differenza dell’elaborato peritale depositato in primo grado, risultavano conformi alle conclusioni rese dalla CTU svoltasi in sede penale, riformava integralmente la sentenza di prime cure.
Con riferimento alla mancanza del tracciato asseritamente effettuato nella serata antecedente al parto, la Corte d’Appello rilevava come nessuna indicazione di esso fosse contenuta nella cartella clinica. In considerazione della natura di certificazione amministrativa della cartella clinica, secondo la Corte territoriale, gli attori avrebbero dovuto impugnare il contenuto della stessa tramite querela di falso.
La Suprema Corte, adita dagli originari attori, richiama anzitutto i principi enunciati dalla Cassazione con sent. n. 27471 del 2017, da ultimo avallati dalla sentenza n. 27288 del 2022, secondo cui le attestazioni contenute in una cartella clinica hanno natura di certificazione amministrativa, in quanto redatta da un’azienda ospedaliera pubblica o da un ente convenzionato con il servizio pubblico sanitario, “cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. c.c., per quanto attiene alle sole trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento”.
Gli Ermellini, in secondo luogo, evidenziano come dal principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza con le citate pronunce – teso ad individuare la diversa rilevanza e il diverso metodo di confutabilità riservato ai dati oggettivi in essa riportati, contrastabili solo a mezzo della querela di falso, rispetto alle valutazioni eventualmente in essa inserita, le quali non sono assistite da fede privilegiata in quanto tali – non possa implicitamente ricavarsi che siano coperte da fede privilegiata anche i fatti non riportati nella cartella clinica.
Pertanto, la Cassazione rileva come non sia necessaria la querela di falso ai fini dell’accertamento delle lacune o delle omissioni presenti nella cartella clinica.
In conclusione, la cartella clinica, avente natura di certificazione amministrativa con valore privilegiato, fa fede fino a querela di falso solo in positivo ed in relazione ai dati obiettivi in essa contenuta. Al contrario, per quanto riguarda i dati in essa mancanti, la prova dell’effettivo svolgimento di attività non risultanti dalla cartella clinica può essere fornita con ogni mezzo ed il loro accertamento è riservato al giudice.
Sulla base di tali principi il Collegio ha cassato la sentenza in relazione al mancato esame, da parte della Corte d’Appello, delle risultanze istruttorie diverse dalla cartella clinica, assumendo che l’attendibilità e la completezza della cartella clinica potevano essere poste in discussione solo a mezzo della querela di falso.
La Cassazione ha disposto che il giudice del rinvio debba, nella valutazione del merito della vertenza, applicare il seguente principio di diritto: “Le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un’azienda ospedaliera pubblica, o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, hanno natura di certificazione amministrativa, cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. c.c., per quanto attiene alla indicazione ivi contenute delle attività svolte nel corso di una terapia o di un intervento. La prova dell’effettivo svolgimento di attività non risultanti dalla cartella clinica stessa può essere invece fornita con ogni mezzo. Non sono coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa annotate”.
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